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La figura di Cura in mitologia

 

“Mentre stava attraversando un fiume, la Cura, avendo scorto del fango cretoso pensosa ne raccolse un po’ e iniziò a dargli forma. Mentre è intenta a stabilire che cosa abbia fatto, interviene Giove. La Cura lo prega di infondere lo Spirito a ciò che essa aveva fatto. Giove acconsente volentieri. Ma quando la cura pretese di imporre il suo nome a ciò che aveva fatto, Giove glielo proibì e volle che fosse imposto il proprio. Mentre la Cura e Giove disputavano sul nome, intervenne anche la Terra, reclamando che a ciò che era stato fatto fosse imposto il proprio nome, perché aveva dato ad esso una parte del proprio corpo. I disputanti elessero Saturno a giudice. Il quale comunicò ai contendenti la seguente giusta decisione: “Tu, Giove, che hai dato lo Spirito, al momento della morte riceverai lo Spirito; tu, Terra, che hai dato il corpo riceverai il corpo. Ma poiché fu la Cura  che per prima diede forma a questo essere, fin che esso vive lo possiede la Cura. Per quanto concerne la controversia sul nome, si chiami homo perché è fatto di humus”. (Heidegger, 1976, p. 247).

 

 


Non posso trovare migliore definizione di quella di Heidegger ( Heidegger, 1976, pp. 228-229) " può essere definita la qualità esistenziale fondamentale, in quanto l'essere dell'Esserci si rivela con la Cura".
 

La cura è archetipo della pedagogia, oltre alla formazione, all’educazione, all’intenzionalità, all’apprendimento, all’inculturazione. Se non esistesse una cura che accompagna e sostiene chi svolge attività educativa non esisterebbe l’educazione, la formazione, l’apprendimento, l’inculturazione. La cura è onnipresente, ovunque e in qualsiasi tempo uno si trovi, l’attenzione all’altro e la vigilanza verso se stesso. La cura testimonia che si può capire l’uomo, che è possibile andare oltre l’apparenza, la cura ci testimonia che non potremmo senza di essa dirci persone umane.

La cura è quindi nella quotidianità: si esercita nel silenzio della pratica, nel buio generale del disinteresse per il bene comune. Molte volte è ignorata, perché “necessaria e naturale”, perché è invisibile e silenziosa come la moltitudine di donne che assistono gli anziani, i bambini, i malati. La cura non ha voce nel mondo della crescita economica, perché è dovuta, è un atto necessario.

La cura è un atto fondamentale della vita umana, la vita umana si orienta con essa in una direzione di senso e la cura illumina il cammino e ne rende possibile l’apertura all’assunzione di un significato. Mortari afferma: “L’essere umano è per natura preposto alla cura, coltiva la sua vita facendone oggetto di cura, ma anche preoccupandosi di molte cose e prendendosi cura di esse, così da abitare con pienezza d’essere il tempo della sua esistenza”.( Mortari, 2002, pag.3).

 



Ecco di cosa ci occuperemo: della cura, della cura nella sua globalità, la cura di se stesso, del proprio corpo, dalla propria anima, dello spirito, la cura dell'altro, del rapporto empatico alla base dell' esserci per la cura, della compassione, del riconoscimento che l'altro siamo noi, della nostra ombra, della sua redenzione, del mistero della nascita e del fine vita, in altre parole accompagneremo ogni passo del nostro vivere con la cura educativa.
Cura educativa come incontro di persone che riconoscono di appartenere ad una comune condizione esistenziale di fragilità umana.
Questo desiderio di occuparsi della cura parte dal riconoscimento che la fragilità e una condizione esistenziale dell'uomo, l'essere fragile è uno dei principi dell'uomo. In determinate situazioni, quali la malattia fisica, la turbolenza emozionale, durante alcuni passaggi della vita , quali il morire, questa condizione può emergere prepotentemente. Il nostro vissuto emotivo personale, porta ad una condizione di estrema fragilità. Il passaggio necessario è la sua oggettivizzazione, fare da spettatore, da osservatore, permettendo così il distacco emotivo e l'elaborazione trasformante, che permette a sua volta l'accettazione trovando un senso all'accaduto e, anzi, la chiave di apertura nell'incontro con la fragilità dell'altro. Sulla base quindi del riconoscimento della propria finitezza, della propria fragilità, si instaura l'impegno "umile" e il contatto empatico compassionevole, in quanto la fragilità dell'altro viene considerata propria. La fragilità diventa forza, non è la debolezza che non va mostrata. E l' incontro empatico e' un vero e proprio mutamento di paradigma dalla visione dualistica occidentale si passa alla profonda unità dell'insegnamento del Buddhismo tibetano, dalla medicina dell'evidenza si passa alla medicina narrativa, dal lavoro solitario al lavoro di equipe, dal lavoro monetizzato al volontariato, dal concetto di causa a effetto a un moto circolare, dai circuiti neuronali alla mente non localizzata, dal rapporto soggetto- oggetto all'incontro fra due anime che attraverso il rapporto empatico vivono un rapporto di dare e ricevere in qualunque condizione e fase si trovino.

 

La proposta, grazie al fondamentale apporto della spinta pedagogica, è quella di far nascere il desiderio nel medico di porsi come educatore, come Steiner esempio di pedagogia vivente, con questa predisposizione al rapporto empatico nei confronti dei propri assistiti portandoli a riconoscere le proprie potenzialità, la possibilità di accrescere la loro resilienza, di vivere l’impermanenza, di ascoltare l’unicità della persona facente parte integrante del tutto, di abbattere le illusioni create da una distorsione percettiva, di apprendere tecniche meditative che porteranno pace, che condurranno alla crescita personale e a superare un analfabetismo affettivo che è una delle prime cause di afflusso nell'ambulatorio del medico di famiglia. Questo percorso di crescita alimenterà le condizioni necessarie per poter stare accanto a chi muore e fare passi verso la propria morte. E ancora tanto altro: dal riconoscere i propri limiti e quelli dell’operatore, a trasmettere le proprie conoscenze ad altri operatori: medici, infermieri, badanti. In conclusione, con l’esperienza emotiva vissuta ed elaborata giunge anche la comprensione dell’importanza del riconoscimento dell’archetipo del “guaritore ferito” e il compito di rendere consapevoli i colleghi che in questo troveranno una grande forza compassionevole. In conclusione diventare noi stessi testimonianza viva di questo percorso che facciamo per noi, ma non fine a se stesso, bensì con la precisa intenzione di permettere all’altro di specchiarsi.

Come possiamo definire la cura?

Il nostro percorso

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